Il declino delle foreste europee

Le foreste di tutto il mondo sono in grave difficoltà. Rispetto a trent’anni fa, la superficie degli ambienti naturali e delle foreste è leggermente aumentata, grazie all’attenzione sempre maggiore per l’importanza di questi luoghi nella lotta al cambiamento climatico. Eppure, oltre a crescere, le foreste si sono anche indebolite, e la loro sopravvivenza è spaventosamente a rischio. In questo momento, già oltre il 20% mostra uno stato critico, e molte altre lo stanno raggiungendo.

Questa fragilità è dovuta alla variabilità climatica, ovvero al clima ormai caratterizzato da oscillazioni improvvise e molto intense di temperatura e precipitazioni. La maggior parte delle specie vegetali che abitano le foreste risente di questi cambiamenti e diventa più fragile, meno resistente a qualunque evento critico. Se le specie autoctone non sono più adatte a vivere nel clima che abitano, non possono sopravvivere a lungo. Ed è proprio ciò che sta accadendo alle foreste europee.

  1. A cosa servono le foreste
  2. Il declino delle forese europee in numeri
  3. La migrazione assistita
  4. Il ruolo del Dry garden

A cosa servono le foreste

Nell’immaginario comune, le foreste servono perché forniscono l’ossigeno, e sono utili all’attività umana perché forniscono il legno. Insomma, la loro funzione è spesso ridotta a questi due semplici elementi, certamente importanti nell’ecosistema mondiale, ma non esaustivi riguardo il loro valore.

È vero che la maggior parte dell’ossigeno che respiriamo viene proprio dalle foreste, ovvero luoghi nei quali sono concentrati tantissimi esemplari di piante. Ma non è qui che si ferma la loro funzione. Esse sono indispensabili per gli ecosistemi, per molti motivi diversi. Gli alberi, innanzitutto, sono i nostri primi alleati contro il riscaldamento globale, poiché sono in grado di sequestrare l’anidride carbonica dall’aria e immagazzinarla nel suolo. Le foreste europee, per esempio, assorbono l’equivalente del 7% di tutte le emissioni di gas serra di cui l’UE è responsabile ogni anno. Più emissioni vengono immagazzinate nel suolo, meno il gas serra riscalda l’atmosfera, e dunque si contiene il cambiamento climatico.

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Inoltre, le foreste sono anche parte integrane del ciclo dell’acqua. Gli alberi assorbono l’acqua dal terreno grazie al lavoro delle loro radici, e la utilizzano nel processo di fotosintesi. Non utilizzano, però, tutta l’acqua che assorbono, e dunque rilasciano nell’aria, sotto forma di vapore acqueo, tutta quella inutilizzata. Può sembrare una quantità minima, eppure un singolo albero rilascia nell’atmosfera centinaia di litri d’acqua ogni giorno.

Infine, le specie vegetali che abitano le foreste, oltre a rappresentare esse stesse biodiversità, ospitano anche tantissime specie animali e forniscono l’habitat a tanti esseri viventi differenti. Insomma, le foreste sono fondamentali per gli ecosistemi, e la loro sempre più importante fragilità non può che mettere a rischio la vita stessa sulla Terra.

Il declino delle forese europee in numeri

Global Environmental Change, una rivista scientifica specializzata nei cambiamenti climatici e dell’ambiente, ha recentemente pubblicato una ricerca sull’impatto che la diminuzione della biodiversità delle foreste europee ha sulla loro sopravvivenza. Lo studio è stato condotto da ricercatori italiani dell’Università di Helsinki, in collaborazione con il dipartimento di ingegneria dell’Università di Firenze e del Centro comune di ricerca europeo.

È principalmente la combinazione di due fattori a causare l’indebolimento delle foreste. Da un lato, il cambiamento climatico sta mettendo a dura prova moltissime specie, abituate a vivere in un ambiente che in molti casi è cambiato completamente, sia per le diverse temperature sia per le differenti precipitazioni – sempre più scarse, compensate da bombe d’acqua. Dall’altro, l’azione umana, il disboscamento, l’invasione con costruzioni di cemento nei luoghi prima naturali, indebolisce ancora di più la biodiversità.

Secondo lo studio, entro il 2100, i servizi ecosistemici delle foreste europee potrebbero crollare del 23% e moltissimi esemplari non riuscirebbero a sopravvivere. Questo numero, però, è solo una media, che vede i paesi che si affacciano sul Mediterraneo quelli più a rischio: si potrebbe arrivare addirittura a oltre il 50%. Questo perché la maggior parte dell’aridità colpirà soprattutto le aree mediterranee, rendendo la sopravvivenza delle specie autoctone molto più complicata.

La fragilità delle foreste di cui parliamo ha proprio a che fare con la biodiversità. Saranno solo poche varietà a resistere alle nuove condizioni, mentre le piante e gli alberi meno resistenti a siccità, bombe d’acqua e intense ondate di calore, non sopravvivranno. E se le foreste saranno composte da pochissime specie diverse, il suolo si impoverirà, le specie animali diminuiranno e anche il microbiota si impoverirà. Se è proprio dalla biodiversità che dipende la ricchezza delle foreste, il suo indebolimento porterà inevitabilmente al loro declino, oltre che alla scomparsa di molte specie, non più in grado di sopravvivere nei luoghi in cui sono nate.

La migrazione assistita

Se alcune delle specie di alberi delle foreste europee non sono più in grado di sopravvivere in questo ambiente, è necessario immaginare un modo per preservarle dall’estinzione. È proprio a questo scopo che alcuni ricercatori hanno iniziato a sperimentare la migrazione assistita. Questa pratica permette di aiutare le piante a “traferirsi” in luoghi con condizioni climatiche il più possibile simili al loro ambiente originario, prelevandone i semi e trapiantando i nuovi alberi altrove.

Il termine “migrazione assistita” è stato coniato nel 1992 dai genetisti forestali F. Thomas Ledig e JH Kitzmiller. Il loro lavoro ha svolto un ruolo da apripista, e diversi biologi hanno poi messo in pratica la stessa tecnica per spostare le foreste prima che queste scomparissero.

Anche per quanto riguarda il declino delle foreste europee, i ricercatori hanno studiato l’impatto di una serie di strategie alternative basate sulle teorie della migrazione assistita. Uno studio ha stabilito che si potrà diminuire del 10-15% il calo dei servizi ecosistemici previsto. Che resta però altissimo nella fascia mediterranea: comunque oltre il 30%.

Sicuramente questa strategia non è perfetta, ma sembra l’unico modo per salvare le specie dall’estinzione. Non preserva, però, le foreste mediterranee dall’impoverimento, poiché poco si può fare se il clima sempre più caldo e privo di precipitazioni e la desertificazione che avanza stanno rendendo il nostro territorio, prima mite e favorevole alla vita, un luogo inospitale. Agire sul clima è, naturalmente, la cosa più importante da fare.

Il ruolo del Dry garden

La filosofia alla base del Dry garden è quella di dedicarsi a piante e prati che siano in grado di sopravvivere in un clima secco e con poche precipitazioni senza la necessità di abbondanti irrigazioni e, dunque, senza contribuire ai danni all’ambiente del cambiamento climatico. Il Dry garden, dunque, non può salvare le specie dei boschi che non sono più in grado di sopravvivere in questo clima, ma può contribuire a non peggiorare la situazione. Per salvare i boschi è necessario arrestare il cambiamento climatico, e riuscirci passa per tante piccole scelte quotidiane, quelle che non contribuiscono a sprecare risorse.